Dopo i soliti quattro/cinque giorni di mitragliamento mediatico – completi della solita maniacale attenzione per dettagli palesemente irrilevanti – i giornali mondiali sembrano finalmente essersi dimenticati della strage in Norvegia del 22 Luglio.
Ohibó, mi domando che fine abbiano fatto tutte le teorie complottistiche e controcomplottistiche del ‘Progress Party’, degli approfondimenti sulla situazione sociale e giovanile in Norvegia, degli aggiornamenti ora per ora su cosa il signor Breivik sta mangiando o bevendo, delle analisi bibliche, degli editoriali al vetriolo sui mandanti morali (che sono passati dai musulmani alle serie TV, dai politici ai videogiochi.. non sono ancora stati tirati in causa la cometa di Halley e Fred Flintstone).
Sicuramente negli ambienti legati alla vicenda – vuoi per motivi di lavoro o per motivi familiari – qualcosa ancora si muove, e ancora resterá in movimento a lungo; il pubblico invece ha avuto il beneficio di essere stato intrattenuto per qualche giorno, ed ora ha quello di potersene dimenticare.
Inizialmente i giornaletti di serie C (tipo quelli che ti rifilano gratis all’entrata della Tube) affiancavano senza paura in copertina Breivik ad Amy Whinehouse: lui ritratto come un giovane piacente e fisicato ma inculcato da idee esterne un po’ troppo estreme, lei come una promessa del rock tragicamente strappata alla vita dalla droga. Strano, perché a quanto mi risulti in Europa puoi ancora permetterti di sviluppare le tue idee senza che te le inculchino, ed un assassino fisicato non ha piú rilevanza di un assassino obeso; inoltre l’ultima volta che ho controllato la droga é qualcosa che devi prendere tu, non é che ti si infila sulla corsia di marcia in autostrada, che ci puoi avere un tragico incidente. Comunque poco importa, la gente vuole essere intrattenuta e la povera Amy ha presto preso il sopravvento su Breivik sui giornali, con buona pace dei familiari delle vittime (quindi di Amy) – dato che, tra le altre cose, Breivik non ha singoli da piazzare in classifica, non ha inediti da rilasciare dall’aldilá, ed il film sulla sua vita sarebbe troppo costoso da realizzare per via delle esplosioni e delle sparatorie. Delle vittime dell’attentato non si é neanche parlato, ma forse é meglio.
In tutto questo faló, intrattenimento sembra essere la parola giusta, perché anche molti giornali definiti “seri” sembrano essersi dimenticati che il loro lavoro é quello di informare e far riflettere, ed indugiavano su aspetti irrilevanti che non hanno niente a che fare con l’informazione, ma che intrattengono: alcuni tergiversavano sui dettagli della vita di isolamento di Breivik negli anni di pianificazione dell’attentato (anni dettagliati dal suo delirante diario di 1500 pagine, che per soddisfare il vostro spirito autolesionistico potete trovare in versione completa qui), sottolineando i sacrifici per la raccolta di fondi, lo studio dietro alla costruzione di una bomba amatoriale, la rinuncia al contatto sociale con altre persone (alcuni molto poco professionalmente hanno detto “la rinuncia ad ogni attivitá sessuale”) – tutti aspetti che invece di fare informazione hanno sembrato voler esaltare la qualitá di questa persona, quasi a farne un eroe.
In Italia poi – paese tristemente celebre per la mancanza di obiettivitá nell’informare i cittadini – oltre al fattore intrattenimento, alcuni giornali sembravano anche paventare un proprio “programma”, ed hanno utilizzato eventi mischiati ad “informazione” per portare avanti quello che sembra essere una vera e propria propaganda. Un certo quotidiano chiamato ‘Il Giornale’, ancora prima di scoprire chi fosse l’attentatore, aveva giá deciso che tutto era opera di terroristi musulmani e sparava a zero verso questi pericolosi invasori, salvo poi venire contraddetto dalla polizia norvegese che faceva loro presente che l’attentatore era uno dei “buoni”. Non stupisce poi che con simili servizi al pubblico ci sia stata qualche testa calda che si é messa a strillare che Breivik aveva delle ottime idee. Ottime idee! Colpito da tanto entusiasmo ho fatto il sacrificio di spendere diverse ore della mia preziosa estate leggendomi il manifesto dell’attentatore in questione e non sono ancora riuscito a trovare delle ottime idee; certo, dal trattato se ne evince una notevole – quanto prolissa – cultura storica, ed una conoscenza non superficiale del mondo arabo, ma quanto ad ottime idee andiamo scarsini. Al massimo sono riuscito a provare dell’ottima invidia verso le vagonate di soldi che il ragazzo dice di avere fatto investendo in borsa, delle sue eccitanti vacanze in America, della sua riuscitissima dieta ed allenamento per costruirsi un fisico da paura (non fa niente se poi non consumava), della velocitá di apprendimento per mettersi a studiare chimica e costruirsi una bomba amatoriale in quattro mesi, della ricetta stessa per costruire la bomba (che ho salvato tra i preferiti, sai mai che resto bloccato sotto qualche mina in Chile), ma sopratutto per prendersi un anno off per giocare a World of Warcraft (spero almeno che ti abbiano cancellato l’account per l’eternitá). Insomma un miscuglio di fatti, teorie, deliri ed esperienze di vita, nonché di fatti storici ed informazioni inutili e deliranti. Quindi, caro Borghezio, io mi tengo le mie idee, e credo siano migliori di quelle di Breivik in quanto non prevedono lo sterminio di sconosciuti su base di divergenza di interessi; ti sarebbe stato forse piú producente leggere i diari di Moana Pozzi – lei sí aveva alcune ottime idee.
Concludo con un altro aspetto trattato dai media a scopo di intrattenimento misto a provocazione: la famigerata “prigione a cinque stelle di Breivik”. Praticamente ogni giornale ha schiaffato almeno un articolo su questa che viene definita “la piú confortevole prigione al mondo” dove ogni detenuto ha la propria stanza con letto, bagno privato, e televisione LCD – senza contare il campo da squash e tutto il resto. Allego un link al principale quotidiano italiano (vi chiedo scusa se nel cliccare play vi sporcate le mani) che fa da buon esempio verso tali servizi.
Questi giornali hanno fatto clamore attorno al fatto che i detenuti vivono una vita “lussuriosa” per 21 anni (questa la pena massima in Norvegia, anche se, sempre per aumentare il clamore, evitano di dire che la pena puó essere estesa indefinitamente) prima di venire rilasciati nuovamente nella societá, dando per inteso che questo é il genere di trattamento che attende un mostro come Breivik. Insomma qualche anno di centro benessere e poi via a raccogliere viole. La reazione é ovviamente di indignazione, e questo é quello che i giornali sembrano voler suscitare.
“Se volete compiere un omicidio fatelo in Norvegia, dove come punizione trascorrerete 21 anni in hotel” titolano i giornali in America. Poche, pochissime pubblicazioni vanno piú a fondo, e vi consiglio questo articolo dell’Economist per una visuale un po’ piú seria e riflessiva sulla questione.
Si manca di menzionare che la Norvegia resta uno di paesi con il piú basso tasso di omicidi, e questo giá ha qualcosa da dire. Ma la veritá é che, anche volendo, gli altri Stati non si potrebbero permettere prigioni di questo tipo perché hanno semplicemente troppe persone da imprigionare. Nel glorioso occidente (Norvegia esclusa) una prigione sembra dover essere un posto ripugnante e sgradevole dove patire pene psicologiche e fisiche, come per ripagare chi é rimasto in vita – ed é quindi stato indirettamente vittima degli eventi – per una sorta di soddisfazione morale. Una sorta di inferno dantesco in terra che dovrebbe dare da esempio a chi non ha ancora commesso un crimine, ma che dati alla mano non sembra funzionare, né prima dell’incarcerazione, né dopo.
Domandiamoci una cosa: dal punto di vista di un’amministrazione governativa quale guadagno c’é nel lanciare assassini e pedofili in una sorta di “fossa dei leoni” dove ci si uccide reciprocamente (ove non vieni direttamente ucciso dalle persone che dovrebbero garantire la tua incolumitá) e si languisce in una sorta di inconclusiva miseria e dolore a spese dei contribuenti? Certo, per soddisfare i cittadini che hanno piacere a pagarne per sapere che questo é quel che succede.
Alla lunga sono i media stessi che pasteggiano su queste concezioni di massa: prima schiaffano il mostro in prima pagina, poi si incolpano l’uno con l’altro come mandanti morali, infine fingono di creare riflessioni e di insinuare quel che i cittadini dovrebbero volere, ma mai consegnano le informazioni per poter pensare a cosa effettivamente si vuole.
E’ normale che dietro ad ogni morte inspiegabile, ove non si riesce ad accettare una motivazione, si cerchi sempre un mandante morale; anche Amy Winehouse era una ottima cantante ed é stata glorificata dai media (sopratutto) perché intratteneva il pubblico con i suoi comportamenti (auto)distruttivi. Peró in questo caso é stata uccisa dalla droga, i media proprio non sono riusciti a trovare un mandante morale: forse per paura che fosse lo stesso?
Davvero un altro ottimo post e sono anche d’accordo con il commento di Flavia.
In Italia negli ultimi giorni c’è stato l’ennesimo tentativo dei radicali di mettere in evidenza la situazioni delle carceri italiane e questa volta, pare, un qualche successo lo abbiano ottenuto; molti politici, compreso il ministro della giustizia, hanno visitato degli istituti carcerari e hanno preso atto della squallida e misera situazione in cui vivono i detenuti, molti dei quali in attesa di giudizio o in carcere solo perché immigrati clandestini. Pertanto molte di queste persone si trovano a dover vivere una situazione traumatica e disumana anche se magari innocenti. Ma il punto sta nel chiedersi, come scritto nel post e nell’articolo dell’Economist, se anche quel carcere fosse solo per i “colpevoli” sarebbe comunque giusto? Sarebbe comunque degno di una democrazia come l’Italia che nella sua carta costituzionale afferma che la detenzione deve avvenire in una situazione di dignità e con finalità di ri-socializzazione? Alla radio mi ha messo tristezza ascoltare l’intervista al direttore di un carcere (Trieste) che aderiva all’iniziativa dei radicali, il quel affermava che spesso non hanno i soldi nemmeno per cambiare una lampadina, per riparare un gabinetto e poter far vivere con “dignità” queste persone detenute. Gli agenti di polizia carceraria spesso mettono di tasca propria i soldi per le trasferte dei detenuti facendo persino debiti per assicurarli alla giustizia. Ma il nostro senso di giustizia davvero viene soddisfatto sapendo che qualcuno che ha commesso un reato passerà anni in condizioni non degne di un paese che si considera moderno e democratico?
applauso
Tutto vero!
Un’altra cosa che non sopporto è il filone psico-introspettivo delle elucubrazioni sul ‘come ha potuto’ costui biondo e fisicato bla-bla. E chi si chiede se ha avuto un infanzia difficile, e se ha battuto la testa da piccolo. Quando un attentato viente attribuito o rivendicato da un terrorista islamico nessuno sta li a chiedersi se la madre lo vestiva da femmina quand’era bambino. Loro sono cattivi e basta. Se l’attentatore è ‘uno di noi’ dobbiamo trovargli una patologia che ne spieghi il comportamento.
Bel post.